LE TRADIZIONI

 

Lo spopolamento della Valle del Randaragna ha ormai provocato un'irreversibile perdita del complesso sistema di tradizioni che un tempo avvolgeva la vita degli abitanti di questi monti. Esse, al contrario di cio' che accade oggi, erano presenti in ogni momento della vita delle persone, accompagnando gli avvenimenti che coinvolgevano la socialita' di paese quanto quelli della vita privata di ognuno. Erano queste piccole comuità, come ricordano i piu' vecchi, in cui le faccende piu' impegnative coinvolgevano l'aiuto gratuito di tutti a prescindere dalla parentela, e le porte delle case non venivano mai chiuse a chiave, nemmeno di notte.

LE NASCITE
A dispetto di cio' che accade oggi, nel passato le nascite si susseguivano nelle famiglie ad un ritmo molto intenso, in quanto i figli erano l'unica vera ricchezza dei montanari. La totale assenza di strutture e l'esigua presenza di levatrici, aggravata dalle proibitive possibilità di spostamento, facevano si che i parti fossero assistiti dalle donne anziane del paese piu' esperte in questa pratica. La mortalita infantile era altissima: la morte di un neonato, seppur nella sua tristezza, scorreva mestamente e senza fare rumore negli animi delle persone, accompagnato solo dal suono di un doppio di campana. I piu' piccoli crescevano sotto la guida dei fratelli maggiori, apprendendo in fretta e senza tante teorie la realtà della vita.

I MATRIMONI
Le realtà di montagna affrontavano questo argomento con un atteggiamento particolare. La chiusura degli ambienti delle varie borgate, aggravata dalle difficili vie di comunicazione, dai reticoli di parentele e la necessità di preservare l'esiguo patrimonio familiare rendevano ben poco proponibile prender moglie fuori dal proprio paese. Il campanilismo e le rivalità di paese erano elementi di grane peso, tanto da poter classificare come vere e prorpie tradizini le sassaiole tra i giovani di diverse borgate. Questo rustico "sport" veniva appreso presto ai tempi delle scuole, e si ripresentava ogni qualvolta i ragazzi "sconfinassero" in altrui borgate in cerca, ad esempio, di fanciulle. E' indubbio che su questo argomento i giovani montanari coltivassero uno spiccato senso di territorialità e conservazione. Tali burbere usanze avevano come ultima occasione proprio il matrimonio, sfociando in una singolare cerimonia: la "Parata".Questa consisteva nello sbarrare la strada al "rapitore" (lo sposo, che portava via la ragazza) all'uscita dalla chiesa. In paesi come Granaglione si utilizzavano semplici e gaii nastri colorati, che venivano lasciati dai bambini che li reggevano quando lo sposo regalava loro qualche confetto. Quando le borgate erano altre invece, come ad esempio a Casa Calistri, lo sposo poteva tranquillamente trovare sul suo cammino dei "giocosi" tronchi d'albero, e capitava spesso che il malcapitato fosse costretto ad impugnare sega o accetta per aprirsi un varco. Esistevano poi molte altre cerimonie, differenti tra le varie borgate, che vedevano lo sposo il giorno delle nozze recarsi a casa della sposa chiedendo al padre di concedergli la figlia. In questi momenti le formule evidenziavano, elogiandoli, i tanti aspetti del ruolo che la donna ricopriva in queste società, tenendo in considerazione oltre all'apparire le diverse "virtu'" familiari. Al termine del lieto evento, in compagnia del buon vino, si godeva di solito di un lauto banchetto di festeggiamento.

I FUNERALI
In queste occasioni la comunità esprimeva tutta la sua compattezza. Al calar della sera, accompagnato dal suono delle campane, il corteo accompagnava dalla casa il proprio defunto verso la chiesa. Illuminato dalle candele che ciascuno portava, esso era visibile nella sua solennità da grande distanza. Varie sono le tradizioni che accompagnavano questo evento, ad esempio quella di Lustrola di distribuire un pane toscano a ciascuna famiglia come ringraziamento per le preghiere, che alla sera verranno recitate con il Rosario. In ogni caso era grande il rispetto e la partecipazione a questi momenti.

 

 

 

 

 
 

LE "MUMMIE" DELL'APPENNINO


Non sempre le testimonianze di antiche tradizioni arrivano a noi attraverso i fragili ricordi. Talvolta esse possono essere dure come la pietra. Tra i monti dell'Alto Reno infatti, sono numerosi i casi di figure antropomorfe che si stagliano nella pietra di antiche costruzioni. Queste curiose "apparizioni" sono certamente degne di nota: non si tratta infatti di elementi puramente decorativi, ma di una caratteristica tradizione. Esse avevano il compito di tenere lontana la presenza di persone, spiriti o presenze avverse agli abitanti dell'edificio. Nonostante il loro significato si sia ormai perso nelle conoscenze popolari, esso affonda le sue radici in epoche antichissime. Deriva infatti dalla macabra usanza delle popolazioni celtiche e germaniche di esporre fuori dalla capanna le teste dei nemici uccisi, che oltre ad avere la mistica funzione che ha attraversato i tempi, serviva anche da monito per i prossimi aspiranti aggressori.

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Tradizioni durante l'anno

 
GENNAIO
Capodanno - Anche ai bambini che andavano a fare gli auguri si offrivano bicchierini di liquore, tanto che spesso andavano a messa ubriachi. Era un'offesa non fare visita in quel giorno. Guai ad incontrare per primo un prete. Le donne non potevano andare nelle case, perchè portava male. La ragazza sdraiata sul letto, prima di alzarsi, gettava una ciabatta: se questa si girava con la punta verso la porta entro l'anno si sarebbe sposata.
Epifania, 6 Gennaio - Ragazzi e fanciulle andavano per le case gridando: <<Bufon, bufon, se n'me de gnente, butto giu' al porton!>>. Per i piu' piccoli si raccontava che la befana distribuisse i doni attraverso i camini delle case.
Conversione di San Paolo, 25 Gennaio - Le ragazze riempivano una boccetta con acqua di sette fontane; in questo modo avrebbero incontrato presto il futuro sposo.
FEBBRAIO
Carnevale - Si andava con le "pive" (due "lastre", cioè due pezzi di zucca accostati e accoppiati per bene) e si suonavano insieme ai corni, alle stagne (bidoni), alle nicchie (conchiglie) e con tutti questi strumenti si faceva un rumore del diavolo.
MARZO
Quaresima - Si faceva la "Quarantina": un pezzo di filo di lana con 40 "groppi" e due nappine alle estremità. Ogni giorno si dicevano alcune orazioni e si faceva un nodo. Così fino alla fine della Quaresima, quando si consegnava la corda tutta annodata alla persona per la quale si era pregato. Questo si poteva fare anche incidendo tacche su di un ramo di bussolo, o infilzandone le bacche .
Metà Quaresima - Si usava "segare i vecchi" : i ragazzi con bidoni e bussolotti andavano alle case dei vecchi recitando una strofetta che terminava così: <<...segherei la vecchia Tal Dei Tali; se non ci darete da bere torneremo per tre sere>> e giu' un'altra "scampanata".
Pasqua - Gli uomini giocavano a "cocetto" con le uova. Si facevano i "corolli", ciambelle con il buco, farcite, ricoperte con uovo sbattuto e confettini (si impastavano con latte di pecora). Le bambine, all'inncontro di un coetaneo, dicevano: <<Fiore verde!>>, mostrando un rametto di bussolo. Se il coetaneo era provvisto dello stesso, lo mostrava ed erano pari, al contrario invece la risposta era :<<30 secco!>>, ed era in debito di un uovo sodo. Raramente il debito veniva saldato.
APRILE
Rogazioni - Dal 25 Aprile, San Marco, fino alla domenica della Santissima Trinità (la prima dopo Pentecoste) c'erano le Rogazioni, con la benedizione delle campagne. Erano processioni lunghe, interminabili, in luoghi impervi: si preparava un altarino nei campi e su di esso, ogni proprietario, metteva la sua offerta. Un gruppo di donne al seguito del prete nell'itinerario cantava le litanie dei Santi. Nei paesi dei luoghi piu' impervi, che non disponevano dei campi, la benedizione si estendeva agli animali delle stalle.
MAGGIO
1° Maggio - A mezzanotte del 31 Aprile era usanza fare la corsa a chi arrivava prima da Granaglione a Calvigi, perchè il fortunato e devoto podista avrebbe ricevuto la grazia dalla Madonna. In tutto l'Alto Reno è antichissima tradizione comune festeggiare l'inizio della primavera. Questo coincide con la festa celtica di Beltaine, la divinità della fertilità e della rinascita della natura, in cui si salutava l'inizio della metà luminosa dell'anno.

Le domeniche del mese di Maggio le fanciulle granaglionesi andavano (di notte verso le ore 2 - 3) in pellegrinaggio a Calvigi pregando e cantando, nell'intento sottinteso di poter trovare marito o altre grazie. Negli altri paesi, le ragazze andavano a "cantare" il Rosario nella chiesa del paese.

Il Maggio lirico e drammatico - La tradizione antichissima di celebrare il ritorno della primavera con canti e feste distingue due tipi di "Maggio": il lirico e il drammatico. Il Maggio lirico è a sua volta di due tipi: Sacro, detto anche Delle Anime Purganti, e profano. Il profano contiene diversi elementi: le lodi della primavera, il rifiorire di tutta la natura e l'esaltazione della donna amata. Il maggio sacro dipinge a colori foschi le aspre pene del Purgatorio e chiede il suffragio dei defunti. In nessuno dei due manca mai la particolarità della questua o domanda della mancia. Il Maggio drammatico infine era una vera rappresentazione teatrale in canto, dallo spirito schiettamente popolare. Gli argomenti trattati erano sacri oppure profani e cavallereschi. I testi e le semplici melodie su cui si cantavano le quartine venivano tramandate di padre in figlio. La notte del 30 Aprile in tutti i paesi della zona era gran festa. Gruppu di giovanotti passavano di borgata in borgata "cantando Maggio", con in testa alla brigata un albero di pungitopo e altri addobbi. Davanti ad ogni uscio si fermavano e cominciavano a cantare, finchè all'interno la lampada non si accendeva. La padrona di casa scendeva per offrire ai cantori prosciutto, formaggio, uova e un bicchiere di vino, ricevendo in cambio un limone. La notte passava così tra canti e vino: la mattina erano tutti brilli. Dai testi del Maggio, soprattutto quelli delle zone piu' remote come Casa Moschini, si comprende bene lo spirito della tradizione: un gioioso canto alla primavera che ritorna dopo l'inverno che, i montagna, era sinonimo di isolamento e fame. Sussurrati nelle veglie invernali, gli amori si manifestavano ora apertamente: il Maggio è anche occasione per dichiarazioni e serenate alla ragazza del cuore.
GIUGNO
23 giugno - La notte della vigilia di San Giovanni si prendeva un catino d'acqua con sparsi petali di fiori e si lasciava fuori tutta la notte, perchè fosse benedetta dalla "guazza" di San Giovanni. Al mattino ci si lavava con quell'acqua. La stessa notte i giovanotti portavano davanti alla porta delle varie ragazze dei doni, oppure dei segni dispregiativi o scherzosi.
AGOSTO
5 agosto - Pellegrinaggio a Calvigi
15 agosto - Tradizionale e secolare festa a Calvigi con partecipazione di tutta la Valle del Randaragna. Affollatissima la breve processione pomeridiana con l'immagine della Madonna sul piazzale del santuario. Fino all'immediato dopoguerra i pellegrini bivaccavano nel piazzale da mattina a sera dopo il lungo viaggio a piedi, con partenza a notte fonda per essere al Santuario per la prima Messa del giorno. Ad accogliere i pellegrini c'era il romito, umile e solitario custode del Santuario per tutto il resto delll'anno. Ricordiamo i nomi degli ultimi due in ordine di tempo: Giuseppe Vivarelli di Bovecchia e Antonio Macciantelli della Valle. Dopo la messa delle 11 i castagneti brulicavano di gruppi familiari. Si aprivano finalmente le ampie sporte di vimini, i canestri e si consumava allegramente l'abbondante pasto: uova sode, polli arrosto, formaggio e grosse pagnotte condite con vin toscano.
16 agosto - A Granaglione nell'oratorio di San Rocco, nella piana dell' "Esina" sovrastante la chiesa parrocchiale, si celebrava la festa di questo Santo. Era una sagra campestre con funzione religiosa al mattino a ricordo di una scampata pestilenza e una serie di giochi all'aperto nel pomeriggio: tiro alla fune, albero della cuccagna, pentolaccia e altri giochi popolari che costituivano quasi la fiera del paese. In auge fino al 1950, sopravvisse al crollo dell'oratorio per tornare il 16 agosto 1963 al Monte di Granaglione, con messa ai piedi della croce e gioghi al campo sportivo.
28 agosto, Sant'Agostino - Per il patrono della chiesa dei boschi, si svolgevano le funzioni religiose al mattino, al pomeriggio i vespri, e successivamente i giochi, dove, soprattutto nel "palo della cuccagna", spadroneggiavano gli storici campioni di Casa Calistri. Si ricorda però una memorabile vittoria di Sergio della Calnècchia, in una epica competizione sul mangiare pasta rovente molto piccante senza le mani.
OTTOBRE
Tutte le mattine c'era la Messa alle cinque, compresa la domenica, per andare poi a cogliere le castagne. Tutti vi si recavano con il "grembiale" da lavoro con l'ampia tasca.
DICEMBRE
La Notte di Natale - Si diceva che se i familiari di un ammalato grave gli avessero portato dodici parti di dodici pietanze diverse prese da dodici case, sarebbe guarito. Da sempre giovanotti e ragazze aspettavano con trepidazione la sera della Vigilia di Natale per il grande appuntamento con il "loro" albero di Natale. La preparazione è laboriosa e remota: circa un mese prima comincia il taglio dei ginepri nei boschi. Ogni giorno ne vengono ammassati di nuovi: bisogna far presto, perchè c'è il rischio che la prima neve interrompa il lavoro di raccolta. Viene innalzato un agile e alto castagno e l'antivigilia si comincia a riempirlo di fascine alla base e di ginepri tutto intorno. Così verde sembra un albero vero: un grande abete a forma di piramide. All'ora stabilita, prima o dopo cena, quando i paesani si sono raccolti e l'attesa si fa piu' carica di emozione, si appicca il fuoco. Mentre la notte si illumina, la gente sembra risvegliarsi dal torpore invernale che la teneva rannicchiata, comincia amuoversi, a vociare piu' forte per incitare i "fochisti". Tutti venivano avvolti dal calore in una pioggia di cenere e scintille. Si puo' immaginare come doveva essere piu' suggestivo lo spettacolo quando non esisteva pubblica illuminazione e la notte si accendeva di decine di falo'. Ed ogni borgata, ogni casolare aveva il proprio. Era una gara di durata e di intensità, specialmente tra gli opposti versanti del Reno e del Randaragna. Da ultime tornavano a casa le massaie portando nel loro camino una palettata di quelle braci "benedette". Per aspettare l'ora della Messa, i bambini giocavano in casa appendendo una mela al soffitto con uno spago e tentando di morderla senza toccarla con le mani; i grandi andavano da amici e parenti a prendere il "ponce" (caffè, rhum e limone).
Natale - A Natale il giovanotto regalava alla ragazza una bottiglia di liquore e il ceppo (un dolce duro, croccante, rotondo, con il buco e una rosa di carta in mezzo). La ragazza ricambiava il giorno della Befana con tre ciambelle sovrapposte a piramide, riempite nel foro centrale di pinoli, noci e noccioline e c'era il detto: <<All'usanza maremmana chi n'inceppa n'imbefana>>.
 

 

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